Come nacque l’inno

«Fu proprio in quelle dimostrazioni, in quell’autunno del 1847, che s’intese per la prima volta in Italia quell’inno del Mameli, musicato dal Novaro, che doveva diventare il canto nazionale italiano. Ed ecco il come.

Una sera, nel caffè Calosso, nel primo tratto a sinistra della via Dora Grossa – l’attuale via Garibaldi – per chi viene da piazza Castello, entrò con passo risoluto ed affrettato un uomo sui trent’anni, di mediocre statura, con una bella testa piuttosto grossetta, un naso risentito, due baffetti neri, capelli alla raffaellesca, occhi vivacissimi. In quel momento, la sua fisionomia, abitualmente animata, aveva un’animazione maggiore, e gli occhi sfolgoravano sotto l’ampia fronte lasciata scoperta dal cappello rigettato indietro. «Amici!» gridò con voce alquanto concitata «ho scritto la musica dell’Inno di Mameli. L’ho finita adesso. Voglio che la sentiate… Venite!» Un’irruzione di applausi salutò quell’annuncio, e subito seguimmo Novaro in dieci o dodici fino alla sua dimora, al terzo piano del secondo casamento di via Nuova – l’attuale via Roma – a sinistra di chi viene da Piazza Castello, una stanza non tanto vasta perché l’invasione d’una dozzina di uomini non vi facesse ingombro.
Sedette al piano. D’improvviso, si gira.
«Bisogna ch’io vi dica l’idea che mi fece nascere il motivo e l’andamento di questo canto.  Dico idea; dovrei dire sogno, fantasticheria, visione. La troverete bizzarra, e per tale anche a me; ma in ogni modo mi ha dominato e ispirato. Mi parve di essere in una grande pianura il cui confine si perdeva dietro l’estrema linea dell’orizzonte; a capo di essa, un rialzo, su cui un trono… una cattedra… sì, la cattedra di bronzo in San Pietro del Vaticano; e in essa solennemente assettato in solenni paludamenti Pio IX… Intorno e sotto a quel trono un innumerevole corteo di re, di principi, di guerrieri, di prelati, di magistrati: in faccia una immensa moltitudine che fittamente riempiva tutto quello spazio immenso, le popolazioni di tutta la penisola là convocate ad una dieta universale delle genti italiche. Tutti avevano viso e occhi intenti nel Pontefice, e un gran silenzio incombeva su quella folla immobile e aspettante. Pio IX si alza, tende le braccia verso quella moltitudine, e con voce grave, solenne, lenta annunzia ai popoli la buona novella: «Italia essersi desta, riprendere la gloriosa sua strada, doversi fare a lei schiava la vittoria!» Un sussurro si leva da quella folla: si guardano attoniti, s’interrogano, si ripetono a mezza voce, agitati, frementi, le parole del Pontefice. Se ne persuadono. Ma allora bisogna combattere e vincere; si combatta: «Stringiamoci in coorte, siam pronti alla morte, l’Italia chiamò».
Se lo ripetono esaltandosi, l’entusiasmo li manda ad un crescendo incalzante che si conchiude in un grido supremo, il quale è un giuramento e un grido di guerra. E il poeta mi perdonerà se, per mandare questo grido, ho aggiunto all’ultimo verso una sillaba: «L’Italia chiamò: Sì».
La sua voce, che pel teatro era poca, per quella camera riusciva piena e sonora; e l’interno affetto e il sentimento onde era stato ispirato davano al canto un’efficacia di espressione che nulla più. Quando ebbe gettato quell’ultimo grido, quel «Sì!» finale che ha tanta forza e fierezza, scoppiò un vero entusiasmo; tutti ci si strinse intorno al maestro, lo si abbracciò, si baciò, si plaudì, si gridò, si pianse. Si proclamò, è vero, che l’Italia aveva il suo canto. Quel canto bisognava farlo conoscere, diffonderlo. Lo fece l’Accademia Filodrammatica, che aprì le sue porte ai cantori dell’inno del Novaro e al pubblico che doveva giudicarlo. L’effetto fu enorme.
Pochi giorni dopo tutta Torino sapeva quel canto, poi tutto il Piemonte, poi tutta l’Italia.»
C’è nello svolgersi della tua melodia, o sacro inno, un non so quale misterioso incanto, che ci penetra, che ci fa scorrere per le membra un brivido soave e potente, che ne innalza lo spirito a più sereni cieli, che ci fa capaci di comprendere e di compiere le gesta degli eroi. Anche oggidì, nell’attuale intorpidimento della coscienza pubblica, nell’offuscarsi di quelle idealità a cui s’è ispirato quel canto della lotta, anche per le giovani generazioni che non assistettero alle meraviglie dell’epoca nazionale, quando per le piazze d’Italia vibrano quei magici suoni, la corrente elettrica degli entusiasmi percorre le epidermidi della folla, il calore d’una fede par che vi sollevi il petto.
Oh! caduti all’ombra del vessillo tricolore gridate coll’autorità del vero eterno che splende ai vostri occhi «Siate concordi, siate provvidi al sollievo delle sociali miserie, siate nostri degni figli, siate liberi, siate italiani!».

(Da “I miei tempi” di Vittorio Bersezio)

LE MISERIE ‘D MONSÙ TRAVET

Un intervento nel segmento culturale ha riguardato il recupero del testo originale e l’inquadramento storico della commedia “Le miserie ‘d Monsù Travet” nell’allestimento realizzato dalla Compagnia di Mario Brusa, su finanziamento della Regione Piemonte, in occasione del 140° anniversario del debutto: il documentario di inquadramento, da visionarsi prima dell’inizio della rappresentazione, racconta la storia piemontese dalla proclamazione dello Statuto al trasferimento della capitale.

Il video della commedia con il libretto del testo in piemontese è disponibile a richiesta presso la Segreteria della Fondazione.

IL CANTO DEGLI ITALIANI

Ovvero come nacque a Torino nel 1847 il nostro inno nazionale

Con il titolo Il canto degli italiani il poeta Goffredo Mameli diffuse tra i patrioti della nascente Italia l’ode scritta da lui nel 1847, il Fratelli d’Italia posto in musica a Torino dal genovese Michele Novaro. Testimone d’eccezione della nascita dell’inno italiano, il poliedrico scrittore Vittorio Bersezio, fautore dell’Italia unita al di là di ogni tentazione campanilista, di ogni ambizione regionale, descrive con vivacità e partecipazione il periodo risorgimentale torinese ed in particolare la prima esecuzione pubblica del carme ad opera di Novaro: “C’è nello svolgersi della tua melodia, o sacro inno, un non so quale misterioso incanto, che ci penetra, che ci fa scorrere per le membra un brivido soave e potente, che ne innalza lo spirito a più sereni cieli, che ci fa capaci di comprendere e di compiere le gesta degli eroi.” La Fondazione Vittorio Bersezio ha sostenuto con entusiasmo la diffusione della conoscenza, sponsorizzando la realizzazione di un CD musicale per offrire al pubblico una rassegna del repertorio musicale del Risorgimento italiano, del quale è stato possibile ritrovare lo spirito originale non solo attraverso la ricostruzione della vasta produzione di Michele Novaro, ma anche grazie al recupero di alcune opere musicali coeve al maestro ed ispirate ai temi patriottici.

Ha inoltre recentemente co-prodotto un filmato storico-musicale sullo stesso tema.

Il CD musicale e il DVD del filmato sono disponibili a richiesta presso la Segreteria della Fondazione.

ALTRE ATTIVITA’

In collaborazione con il Museo Nazionale del Risorgimento Italiano di Torino, la Fondazione ha realizzato una animazione – Voci e Volti dal Parlamento Subalpinodi alcune importanti sedute del Parlamento, luogo che vide attivo Vittorio Bersezio nella sua veste di deputato del Regno. Il DVD è disponibile a richiesta presso la Segreteria della Fondazione.

 

Sono stati pubblicati gli atti del convegno – Cattolici dal Risorgimento alla Repubblica 1861 – 2011, svoltosi nel mese di marzo 2011 e promosso dalla Fondazione Donat Cattin di Torino nell’ambito delle celebrazioni per il 150° anniversario dell’Unità nazionale.

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Tue ‒ Thu: 09am ‒ 07pm
Fri ‒ Mon: 09am ‒ 05pm

Adults: $25
Children & Students free

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781-562-9355, 781-727-6090